Tra i tanti poeti che affascinano e ammaliano ancora oggi, c’è sicuramente Charles Baudelaire. Per chi non lo sapesse, il celebre autore de “I fiori del male”, ha scritto – tra le altre cose – alcune poesie dedicate al felino più amato dall’uomo.
Per esempio, quella chiamata “Il gatto”: in questo pezzo il poeta paragona l’amore per una donna a quello per un micio, infatti secondo Baudelaire hanno gli occhi molto simili: in grado di ammaliare, ma al contempo freddi. Di seguito, ve ne riportiamo i versi:
“Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l’agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s’inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo, amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo, e dai piedi alla testa
un’aria sottile, un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno. “
In un’altra poesia, sempre dedicata agli occhi dei felini, racconta di come le “loro pupille siano mistiche” e di come gli uomini apprezzino questo animale domestico:
“I fervidi innamorati e gli austeri dotti amano ugualmente,
nella loro età matura, i gatti possenti e dolci, orgoglio
della casa, come loro freddolosi e sedentari.
Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e
l’orrore delle tenebre; l’Erebo li avrebbe presi per funebri
corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.
Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti delle grandi
sfingi allungate in fondo a solitudini, che sembrano
addormirsi in un sogno senza fine:
le loro reni feconde sono piene di magiche scintille e di
frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente
le loro pupille mistiche.”
In una terza poesia, ancora, il poeta innalza la figura del gatto fino a somigliarlo a una fata, o a un dio. C’è proprio una sorta di devozione in questi versi, che recitano:
“Che dolce profumo esala da quel pelo
biondo e bruno! Com’ero tutto profumato
una sera che l’accarezzai
una volta, una soltanto!
È lui il mio genio tutelare!
Giudica, governa e ispira
ogni cosa nel suo impero;
è una fata? O forse un dio?
Quando i miei occhi, attratti
come da calamita, dolci si volgono
a quel gatto che amo
e guardo poi in me stesso,
che meraviglia il fuoco
di quelle pallide pupille,
di quei chiari fanali, di quei viventi opali
che fissi mi contemplano!”
Una cosa è chiara: è vero che Charles Baudelaire con la sua opera “I fiori del male” diede scandalo ai suoi tempi, ma è pur vero che se gli animalisti lo avessero sentito parlare di gatti lo avrebbero senza dubbio osannato.